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Siamo così indie
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di Riccardo Burgazzi

 

Qualche settimana fa, a Milano, si è tenuta la terza edizione di BookPride, la fiera dell’editoria indipendente (noi non c’eravamo per una semplice questione organizzativa: le fiere sono tante e per il 2018 ne abbiamo scelte altre). E anche quest’anno, come il precedente, io ci sono andato da visitatore e ho pensato “accipicchia, dovremmo venirci qui, pare a misura nostra! E poi anche noi siamo una casa editrice indipendente, non possiamo mancare”. C’erano circa centosettanta editori, c’era qualità e c’era competenza. Poi va be’, c’era anche quella casa editrice grossa grossa, fondata da quelli là mediatici e famosi che sono usciti da quell’altro colosso editoriale (ben più grosso) e che hanno fatto gruppo con altri editori medio-grossi, formando così una realtà che non è proprio immediato definire “indipendente”; però, via, non ragioniam di lor ma guarda e passa. Guarda e passa: si fa presto a dirlo. Indipendente, indipendente, indipendente. Ma indipendente da chi?

 

Cosa significa? Ho chiesto a un mio Amico Editore Indipendente, mentre passeggiava con me prendendosi una pausa dalla fiera. Innanzitutto, che non fai parte di un gruppo! Ok. Però… stampi pure tu nelle tipografie industriali coi prezzi competitivi grazie al fatto che ci stampano pure i colossi, no? È anche scritto nel colophon dei tuoi libri! No, ma indipendente dal sistema. Ah, potevi dirlo prima! Però… vendi anche tu in quella famosa catena libraria e in quell’arcinoto negozio multinazionale online, no? Sì, ma io non ho nessuno che mi dica cosa pubblicare. Be’, sì: questo è vero. Però i tuoi libri li distribuiscono quei simpatici messaggeri di quella gigante holding che ha in mano metà del mercato nazionale, no? Sei un po’ arrogante, mi ha fatto notare lui, lo sai? Ma no, davvero: non voglio offendere, io mica mi chiamo fuori! Certo, stampo in una tipografia amica e mi distribuisce una realtà che mi ha visto nascere e crescere, però anch’io vendo i libri in tutti quei negozi lì, non ci posso fare niente: è per questo che mi imbarazza un po’ l’etichetta di “indipendente”. E poi guardati attorno: a me monta malessere nel vedere editori di qualità (che qui sono davvero la stragrande maggioranza) relegati in gabbiotti tutti uguali in un corridoio lungo e stretto, a mo’ di pollaio. Eh, allora vai a Tempo di Libri a far visita al marchio notissimo che trovi tutti i giorni in città. Sì, è vero, su Tempo di Libri hai ragione: è un centro commerciale a cielo tappato, dove i colossi dell’editoria tirano su veri e propri palazzi marcando bene chi sono loro e chi sei tu. Chi sono loro e chi sei tu. Ecco, è questo il punto: mi pare che, paradossalmente, sia più possibile distinguersi lì, che non qui. 

 

Io e il mio Amico Editore Indipendente, che siamo per l’appunto editori (quindi umanisti, sì, ma anche mercanti), allora, ci siamo guardati e ci siamo intesi: la banderuola di “editore indipendente” oggi va sventolata a più non posso, un po’ come quella di “birrificio artigianale”, perché è proprio il sistema che lo chiede. Sistema, mercato, clima: che ognuno si impegni a trovare la parola che vuole per quella cosa lì, insomma. Stringi stringi, si tratta solo di un motto commerciale, di un’etichetta utile a vendere prodotti a un preciso target di clienti: le lettrici e i lettori “consapevoli”.

La lettrice consapevole è una quasi trentenne che, dopo aver legato la bicicletta ai cancelli del Mudec, sfila almeno un paio di volte per il lungo corridoio di BookPride alla ricerca del libro ideale per la lettura tardo pomeridiana al parco o anche solo per la soddisfazione di riempire di prestigio la propria saccoccia di cuoio sostenibile (acquistata, per un prezzo più che discreto, a Fa la cosa giusta). Quando lo ha trovato, è così inebriata da riuscire perfino a sorseggiare la commercialissima Heineken che spinnano al bar del Mudec, in barba al Birrificio di Lambrate.

A proposito di barba, il lettore consapevole è un distinto signore che ha superato la sessantina e non può rinunciare alla propria buona lettura serale accompagnata da gustoso brandy e pregiato sigaro, sulla comoda poltrona davanti al caminetto acceso; finito il sigaro e trovata la giusta posizione sulla poltrona, tra il tepore del camino e l’effetto del brandy, ricomincia ogni sera da pagina 8, più o meno lo stesso punto dove gli era cascata la palpebra la volta precedente: lui ci prova a tenere in piedi la Società delle Lettere, ma i giovani d’oggi, che non leggono più Dostoevskij, non lo sanno nemmeno cos’era il Corriere quando ci scrivevano gli intellettuali di un tempo, col senso critico di un tempo. Manco la carta è la carta di un tempo.

 

Ma allora sì, teniamoci pure quest’etichetta: indipendenti, ma non indipendentissimi. Come ha concluso il mio Amico Editore Indipendente (che è indie per necessità, ma un buon vecchio lefty nel cuore), i mezzi di produzione non saranno mai nostri, non siamo abbastanza coraggiosi per prenderceli, quindi per lo meno non raccontiamoci balle. Non inganniamoci da soli. E per non ingannarsi basta essere consapevoli. Come le nostre lettrici e i nostri lettori: Editori Consapevoli. 

 

 

Siamo così indie, wo oh oh, siamo così indie, wo oh oh…