Rotate screen
Tamara, Debora e Giacomo. Tre personaggi che danno voce al daimon che sentono dentro fin dalla prima giovinezza e che li accompagna in ogni fase della loro vita. Tamara vuole diventare una cantante lirica, Debora deve imparare a convivere con il dolore fisico e Giacomo è un maestro di musica dai tratti fortemente narcisistici. Riusciranno i loro destini a trovare una via di incontro e ciascuno a individuare la propria strada?
Un romanzo coraggiosamente costruito attraverso scene poste in successione non cronologica, come piccoli tasselli esistenziali che dal disordine, piano piano, si aggregano insieme per costruire l’universo di senso delle vite raccontate.
Claudia Grendene
Un libro che ci accompagna nelle piccole-grandi scelte della vita, ci dà una mano a vivere il cambiamento, a interrogarci sulla verità di ciò che crediamo sia la sola ragione della nostra esistenza, l'unica in grado di darle senso.
Tra genitorialità fallimentare, amore narcisista, idea di famiglia che trascende i vincoli di sangue, il ritmo del romanzo di Carbone procede come una pulsazione delle vene quando la superficie si lacera in una ferita. Il dolore - fisico, sentimentale, della malattia - è la traccia da seguire, a ritroso nei flashback, e avanti nel presente di tutti i giorni, per svelare l'intricata rete di segreti e non detti che uniscono le vite di queste tre figure. Un libro capace di dire moltissimo per sottrazione.
Cattura il lettore con una trama coinvolgente, caratterizzata da tensione costante, flashback continui e il dolore delle relazioni velenose che permea l’intera narrazione.
Una storia che ridisegna le coordinate dei rapporti familiari, soprattutto quando travalicano i legami di sangue.
Questo libro ha la sua forza nella straordinarietà dell'ordinario.
Un romanzo costruito con cura e che ha dalla sua una scorrevolezza data dalla sapiente alternanza tra dialoghi e descrizioni.
La favola vorrebbe pigra la cicala: ben diverse però sono le cicale dell'efficace, intenso romanzo di Carbone, che vi lavora sui mezzitoni e le sottigliezze psicologiche di un gruppo familiare di Bologna.
Un romanzo che indaga nel dolore, sul dolore e anche dentro la parola disabilità.
La padronanza di una materia così complessa e articolata è garantita dal lungo apprendistato di scrittura che Elisabetta Carbone ha svolto presso il Laboratorio annuale de La Bottega di narrazione, e che le è stato riconosciuto con la qualifica di finalista e semifinalista al Premio Calvino con i racconti L’uovo sodo e Pareidolia.
Dunque buona vita a questo primo romanzo di Elisabetta Carbone, che ci insegna a coltivare le proprie voci interiori e a non dissiparle come frinire di cicale.
Romanzo intenso e viscerale, percorso da sofferenze private che inevitabilmente si ripercuotono nel rapporto con l’altro, La voce e le cicale è un’occasione per parlare di relazioni dolorose e disabilità, ma anche del coraggio di rimanere fedeli a sé stessi seguendo la propria voce interiore.