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Le evoluzioni circensi, nel parcheggio antistante al valico di Erez, che incontrano lo sguardo spiazzato dei soldati israeliani di guardia. Il suono delle rotelle degli skateboard, nelle lunghe gabbie di ferro e cemento, che superano il primo checkpoint prima di entrare a Gaza. I primi abbracci e le risate con gli amici e le amiche di una vita, persino se è la prima volta nella Striscia. L’odore del mare, lo stesso che bagna anche l’Italia sebbene sembri così diverso, lo stesso in cui Vik ha navigato per sostenere la libertà di un popolo oppresso. Le radici di un internazionalismo che abbiamo ammirato e imparato a custodire, ad amare, e infine a tramandare e difendere. La nostra storia ha il sapore del caffè al cardamomo, degli alberi di ulivo, delle bombolette spray nel porto di Gaza e della polvere che si alza durante una partitella di calcio in un piazzale, mentre centinaia di persone da ogni angolo d'Italia e della Striscia si incontrano, si conoscono e si uniscono in un grido congiunto di libertà.
Era il 2014, iniziava tutto dopo la sanguinosa Operazione Margine Protettivo. Ma dove è caduta una bomba al fosforo, è nato uno skatepark. Dove un aereo militare ha lanciato un razzo è sorta una palestra di circensi. Dove sono state colpite 2,5 milioni di persone, oppresse da decenni di violenza e occupazione, è sorto un progetto in grado di oltrepassare un muro e abbattere la barriera del silenzio. La storia di Gaza Freestyle, a dieci anni dalla prima carovana.